Scorie - Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere
"Mettiamo che in un mercato libero il salario che si verrebbe a creare
spontaneamente, per l'incontro fra domanda e offerta di lavoro, sia di 6
euro l'ora. Ma nella realtà – sempre una realtà lasciata a se stessa – si
riscontrano salari di 5 euro l'ora. Perché? Perché ci sono degli "attriti"
nel mercato del lavoro. Se un lavoratore vuole lasciare un posto che rende
poco e cercarne un altro, ci sono costi legati a questa ricerca: deve darsi
da fare, chiedere a destra e a sinistra… Allora, data l'esistenza di questi
costi, rimane dov'è e al datore di lavoro rimane il vantaggio di pagare 5
euro per un'ora di lavoro che, in un mercato privo di "attriti", costerebbe
6. Ecco che in quel caso lo Stato sarebbe giustificato a introdurre un
salario minimo di 6. Ci possono poi essere altre ragioni: per esempio, con
un salario minimo più alto ci sono maggiori costi per l'impresa ma anche
più vantaggi. Se il lavoratore è più contento, ci sarà meno andirivieni
nella forza lavoro: dover frequentemente assumere e formare lavoratori è un
costo e una noia per l'impresa. Insomma, il salario minimo, purché fissato
a livelli adeguati… può far più bene che male."
(F. Galimberti)
In una delle puntate domenicali del Sole Junior, Fabrizio Galimberti
affronta il tema del salario minimo fissato per legge (attività nella quale
si è ultimamente esercitato anche il socialista Obama). Dopo aver messo in
evidenza le controindicazioni che una parte di economisti rilevano riguardo
a leggi che fissano limiti minimi (o massimi) ai prezzi, Galimberti cerca
di trovare argomenti per concludere che il salario minimo per legge "può
far più bene che male". Argomenti tutt'altro che convincenti.
In primo luogo, credo non abbia senso parlare di mercato libero e
considerare "attriti" che non siano dovuti a interventi legislativi come
qualcosa che impedisce a un prezzo di raggiungere un determinato livello.
Posto che sarebbe arbitraria la quantificazione di tali attriti, quello
citato da Galimberti a me pare assurdo. Va da sé che se una persona vuole
cambiare lavoro "deve darsi da fare, chiedere a destra e a sinistra"; ma
non fa così chiunque intenda offrire un bene o servizio sul mercato?
Qualora un individuo abbia competenze particolarmente richieste, poi, può
anche darsi che riceva offerte di lavoro senza dover "chiedere a destra e a
sinistra".
Mi sembra, pertanto, che il primo motivo indicato da Galimberti per
giustificare la fissazione per legge di un salario minimo sarebbe debole
perfino se si accettasse la logica interventista.
Non meglio va per il secondo motivo, ossia la felicità del lavoratore e il
minore turnover nella forza lavoro. Secondo Galimberti, se un imprenditore
è costretto a pagare salari più elevati non solo fa più contento chi li
percepisce, ma evita anche "un costo e una noia" per assumere e formare
altre persone.
Qui mi pare che Galimberti consideri i datori di lavoro come degli
autentici deficienti, incapaci di fare i propri interessi. Purtroppo per
lui non vi è alcuna evidenza che ciò sia vero. In ogni modo, mi pare appena
il caso di sottolineare che non tutti i lavoratori sono uguali (non hanno,
cioè, le stesse competenze, la stessa voglia di lavorare e, di conseguenza,
la stessa produttività), né sono identiche tutte le mansioni. Alcune
attività richiedono anni di formazione e specializzazione, altre possono
essere svolte più o meno da chiunque sia capace di intendere e di volere,
senza che sia necessaria una lunga formazione. Generalmente un datore di
lavoro è in grado di riconoscere le persone che conviene trattenere con
aumenti di retribuzione e benefit, così come sa bene chi sarebbe meglio
uscisse dall'azienda immediatamente per essere sostituito senza che ciò
provochi alcun "costo e noia".
Non a caso, da un punto di vista pratico è per quest'ultimo tipo di
attività che spesso si discute per introdurre salari minimi per legge, ed è
proprio in questo contesto che tali norme fanno più danni, rendendo
inoccupabili le persone per le quali un'impresa non avrebbe convenienza a
pagare quel salario minimo.
Galimberti conclude sostenendo che "il salario minimo, purché fissato a
livelli adeguati… può far più bene che male". Ma chi stabilisce qual è il
livello "adeguato"? In un mercato libero sono la domanda e l'offerta di
soggetti che volontariamente stipulano contratti. La pretesa che sia una
norma di legge a fissare un livello minimo (o massimo), tipica di ogni
interventismo, è basata sulla presunzione che il legislatore sappia cosa è
meglio per tutti, sostituendo il proprio volere a quello delle parti del
contratto.
Purtroppo questa presunzione, oltre a ledere la libertà delle parti
contrattuali, è priva di fondamento e produce danni tanto maggiori quanto
più alto è il grado di apertura di un sistema economico. Ma gli
interventisti continuano a non volerlo capire.
spontaneamente, per l'incontro fra domanda e offerta di lavoro, sia di 6
euro l'ora. Ma nella realtà – sempre una realtà lasciata a se stessa – si
riscontrano salari di 5 euro l'ora. Perché? Perché ci sono degli "attriti"
nel mercato del lavoro. Se un lavoratore vuole lasciare un posto che rende
poco e cercarne un altro, ci sono costi legati a questa ricerca: deve darsi
da fare, chiedere a destra e a sinistra… Allora, data l'esistenza di questi
costi, rimane dov'è e al datore di lavoro rimane il vantaggio di pagare 5
euro per un'ora di lavoro che, in un mercato privo di "attriti", costerebbe
6. Ecco che in quel caso lo Stato sarebbe giustificato a introdurre un
salario minimo di 6. Ci possono poi essere altre ragioni: per esempio, con
un salario minimo più alto ci sono maggiori costi per l'impresa ma anche
più vantaggi. Se il lavoratore è più contento, ci sarà meno andirivieni
nella forza lavoro: dover frequentemente assumere e formare lavoratori è un
costo e una noia per l'impresa. Insomma, il salario minimo, purché fissato
a livelli adeguati… può far più bene che male."
(F. Galimberti)
In una delle puntate domenicali del Sole Junior, Fabrizio Galimberti
affronta il tema del salario minimo fissato per legge (attività nella quale
si è ultimamente esercitato anche il socialista Obama). Dopo aver messo in
evidenza le controindicazioni che una parte di economisti rilevano riguardo
a leggi che fissano limiti minimi (o massimi) ai prezzi, Galimberti cerca
di trovare argomenti per concludere che il salario minimo per legge "può
far più bene che male". Argomenti tutt'altro che convincenti.
In primo luogo, credo non abbia senso parlare di mercato libero e
considerare "attriti" che non siano dovuti a interventi legislativi come
qualcosa che impedisce a un prezzo di raggiungere un determinato livello.
Posto che sarebbe arbitraria la quantificazione di tali attriti, quello
citato da Galimberti a me pare assurdo. Va da sé che se una persona vuole
cambiare lavoro "deve darsi da fare, chiedere a destra e a sinistra"; ma
non fa così chiunque intenda offrire un bene o servizio sul mercato?
Qualora un individuo abbia competenze particolarmente richieste, poi, può
anche darsi che riceva offerte di lavoro senza dover "chiedere a destra e a
sinistra".
Mi sembra, pertanto, che il primo motivo indicato da Galimberti per
giustificare la fissazione per legge di un salario minimo sarebbe debole
perfino se si accettasse la logica interventista.
Non meglio va per il secondo motivo, ossia la felicità del lavoratore e il
minore turnover nella forza lavoro. Secondo Galimberti, se un imprenditore
è costretto a pagare salari più elevati non solo fa più contento chi li
percepisce, ma evita anche "un costo e una noia" per assumere e formare
altre persone.
Qui mi pare che Galimberti consideri i datori di lavoro come degli
autentici deficienti, incapaci di fare i propri interessi. Purtroppo per
lui non vi è alcuna evidenza che ciò sia vero. In ogni modo, mi pare appena
il caso di sottolineare che non tutti i lavoratori sono uguali (non hanno,
cioè, le stesse competenze, la stessa voglia di lavorare e, di conseguenza,
la stessa produttività), né sono identiche tutte le mansioni. Alcune
attività richiedono anni di formazione e specializzazione, altre possono
essere svolte più o meno da chiunque sia capace di intendere e di volere,
senza che sia necessaria una lunga formazione. Generalmente un datore di
lavoro è in grado di riconoscere le persone che conviene trattenere con
aumenti di retribuzione e benefit, così come sa bene chi sarebbe meglio
uscisse dall'azienda immediatamente per essere sostituito senza che ciò
provochi alcun "costo e noia".
Non a caso, da un punto di vista pratico è per quest'ultimo tipo di
attività che spesso si discute per introdurre salari minimi per legge, ed è
proprio in questo contesto che tali norme fanno più danni, rendendo
inoccupabili le persone per le quali un'impresa non avrebbe convenienza a
pagare quel salario minimo.
Galimberti conclude sostenendo che "il salario minimo, purché fissato a
livelli adeguati… può far più bene che male". Ma chi stabilisce qual è il
livello "adeguato"? In un mercato libero sono la domanda e l'offerta di
soggetti che volontariamente stipulano contratti. La pretesa che sia una
norma di legge a fissare un livello minimo (o massimo), tipica di ogni
interventismo, è basata sulla presunzione che il legislatore sappia cosa è
meglio per tutti, sostituendo il proprio volere a quello delle parti del
contratto.
Purtroppo questa presunzione, oltre a ledere la libertà delle parti
contrattuali, è priva di fondamento e produce danni tanto maggiori quanto
più alto è il grado di apertura di un sistema economico. Ma gli
interventisti continuano a non volerlo capire.
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