Scorie - La crescita del Pil non è sufficiente a risolvere il problema del debito
"So bene che l'Italia, con il suo alto debito, deve essere molto accorta a non dare segnali di allentamento della disciplina fiscale, per il possibile impatto che questi potrebbero avere sui mercati finanziari. Ma i debiti degli Stati sono credibili là dove c'è crescita economica, come dimostra il caso giapponese, dove nessuno si occupa delle variazioni dell'enorme stock debitorio, ma tutti guardano all'andamento della demografia, della produttività, dell'eccellenza tecnologica. Perciò il mix di stagnazione e di deflazione, che in Italia pesa più che nel resto d'Europa, costituisce un rischio ben maggiore rispetto a un'uscita temporanea e controllata dai parametri che ci siamo dati sulla finanza pubblica."
(C. De Benedetti)
Anche Carlo De Benedetti ha voluto unire la sua voce al coro di quelli che invocano politiche fiscali espansive accanto a quelle monetarie.
Pur essendo conscio del fatto che con un debito pubblico enorme come quello italiano si corra il rischio di vedere scappare gli investitori, con conseguente aumento del costo per le nuove emissioni di titoli di Stato, De Benedetti ritiene che sia la crescita economica a rendere credibile un debitore pubblico.
Si tratta di un argomento trito e ritrito, che teoricamente può funzionare se la crescita del Pil nominale supera quella del debito. Il problema è che, all'aumentare del debito e soprattutto quando il debito ha dimensioni superiori al Pil, la crescita del Pil nominale deve essere via via maggiore rispetto a quella del debito stesso per rendere il debito sostenibile.
Ma le risorse necessarie a pagare gli interessi sul debito, che arrivano dai cosiddetti contribuenti, non possono essere destinate da costoro ad attività produttive di ricchezza reale. Quindi è abbastanza illusorio, in una situazione come quella italiana, affidarsi alla crescita del Pil nominale per abbassare il rapporto tra debito e Pil.
Solo la componente inflattiva dell'aumento del Pil potrebbe fare il "miracolo", ed è quello che, in fin dei conti, sognano senza confessarlo coloro che continuano a sostenere che la via d'uscita dal debito eccessivo sia la crescita del Pil.
Quanto al fatto che il debito del Giappone (pari a circa due volte e mezzo il Pil) non abbia sin qui dato problemi non dovrebbe essere rassicurante dalla prospettiva italiana. In primo luogo, perché il debito giapponese è detenuto per la quasi totalità da soggetti giapponesi, per lo più pubblici o quasi pubblici. Da quelle parti tenere artificialmente basso il costo del debito è più semplice. In Italia, ancorché la Bce dia una grossa mano al Governo, non è detto che continui a esserci un costo marginale del debito basso quanto quello degli ultimi mesi. Tra l'altro la spesa per interessi, una delle poche voci diminuite recentemente nella spesa pubblica italiana, non è controllabile dal Governo. Tuttavia, Renzi ha approfittato della minor spesa per interessi (una diminuzione che, per definizione, non è strutturale in presenza di un debito che continua ad aumentare) per fare addirittura più deficit.
In secondo luogo, perché proprio il Giappone è un esempio eclatante di come le politiche fiscali e monetarie espansive, in oltre due decenni, non abbiano risollevato l'economia.
Anche da quelle parti l'aumento del deficit avrebbe dovuto essere temporaneo. Ovviamente si tratta di mettersi d'accordo sul concetto di temporaneità: se si ragiona in termini di ere geologiche, certamente vent'anni sono un batter d'occhio.
(C. De Benedetti)
Anche Carlo De Benedetti ha voluto unire la sua voce al coro di quelli che invocano politiche fiscali espansive accanto a quelle monetarie.
Pur essendo conscio del fatto che con un debito pubblico enorme come quello italiano si corra il rischio di vedere scappare gli investitori, con conseguente aumento del costo per le nuove emissioni di titoli di Stato, De Benedetti ritiene che sia la crescita economica a rendere credibile un debitore pubblico.
Si tratta di un argomento trito e ritrito, che teoricamente può funzionare se la crescita del Pil nominale supera quella del debito. Il problema è che, all'aumentare del debito e soprattutto quando il debito ha dimensioni superiori al Pil, la crescita del Pil nominale deve essere via via maggiore rispetto a quella del debito stesso per rendere il debito sostenibile.
Ma le risorse necessarie a pagare gli interessi sul debito, che arrivano dai cosiddetti contribuenti, non possono essere destinate da costoro ad attività produttive di ricchezza reale. Quindi è abbastanza illusorio, in una situazione come quella italiana, affidarsi alla crescita del Pil nominale per abbassare il rapporto tra debito e Pil.
Solo la componente inflattiva dell'aumento del Pil potrebbe fare il "miracolo", ed è quello che, in fin dei conti, sognano senza confessarlo coloro che continuano a sostenere che la via d'uscita dal debito eccessivo sia la crescita del Pil.
Quanto al fatto che il debito del Giappone (pari a circa due volte e mezzo il Pil) non abbia sin qui dato problemi non dovrebbe essere rassicurante dalla prospettiva italiana. In primo luogo, perché il debito giapponese è detenuto per la quasi totalità da soggetti giapponesi, per lo più pubblici o quasi pubblici. Da quelle parti tenere artificialmente basso il costo del debito è più semplice. In Italia, ancorché la Bce dia una grossa mano al Governo, non è detto che continui a esserci un costo marginale del debito basso quanto quello degli ultimi mesi. Tra l'altro la spesa per interessi, una delle poche voci diminuite recentemente nella spesa pubblica italiana, non è controllabile dal Governo. Tuttavia, Renzi ha approfittato della minor spesa per interessi (una diminuzione che, per definizione, non è strutturale in presenza di un debito che continua ad aumentare) per fare addirittura più deficit.
In secondo luogo, perché proprio il Giappone è un esempio eclatante di come le politiche fiscali e monetarie espansive, in oltre due decenni, non abbiano risollevato l'economia.
Anche da quelle parti l'aumento del deficit avrebbe dovuto essere temporaneo. Ovviamente si tratta di mettersi d'accordo sul concetto di temporaneità: se si ragiona in termini di ere geologiche, certamente vent'anni sono un batter d'occhio.
Commenti
Posta un commento