Scorie - Frecce
"L'Abenomics, insomma, vive soprattutto della sua seconda "freccia" (la politica monetaria), tra altri due pilastri (stimoli fiscali e riforme sistemiche) inferiori alle attese suscitate."
(S. Carrer)
Concludendo un articolo in cui rende conto dell'andamento del Pil giapponese nel secondo trimestre (-1,6% annualizzato), Stefano Carrer, corrispondente del Sole 24 Ore da Tokyo, evidenzia che la famosa (o famigerata) Abenomics può ormai contare sulla sola freccia monetaria.
Che la freccia rappresentata dalle riforme strutturali (che dovrebbero lasciare un po' più di spazio alla concorrenza e dare dinamismo al sistema economico giapponese) non sia mai stata scoccata non è un mistero. Ogni riforma che dia effettivamente più spazio al mercato ha una notevole controindicazione politica: produce effetti benefici non immediati, mentre il malcontento di chi vede erosa la propria più o meno consistente rendita di posizione è immediato. Il che suona spesso come un suicidio per chi governa.
Quindi di riforme pro mercato se ne parla al massimo in campagna elettorale, salvo poi soprassedere. Oppure esiste la variante renziana, tesa a spacciare per riforma ogni provvedimento legislativo fatto approvare con voto di fiducia. Così, per esempio, l'assunzione di 100mila insegnanti diventa "la buona scuola" (con qualche altra cosa al contorno).
Ma restiamo al Giappone. La freccia delle riforme effettivamente non è mai stata scoccata, ma sostenere che gli stimoli fiscali sono inferiori alle attese non mi sembra il modo migliore di descrivere i fatti. Non si può certo dire che la politica fiscale giapponese sia restrittiva: con Abe al governo il Giapopne ha accumulato deficit per circa 8 punti di Pil ogni anno (non che i predecessori avessero fatto cose tanto diverse).
Semmai tutto questo deficit non ha prodotto ripresa economica, ma questo può stupire solo chi crede in una versione di keynesismo perfino più sgangherata dell'originale. Se davvero il deficit spending facesse i miracoli, il Giappone negli ultimi 20 anni sarebbe cresciuto più di ogni altro Paese al mondo. Invece l'unico record l'ha raggiunto nell'aumento del debito pubblico.
(S. Carrer)
Concludendo un articolo in cui rende conto dell'andamento del Pil giapponese nel secondo trimestre (-1,6% annualizzato), Stefano Carrer, corrispondente del Sole 24 Ore da Tokyo, evidenzia che la famosa (o famigerata) Abenomics può ormai contare sulla sola freccia monetaria.
Che la freccia rappresentata dalle riforme strutturali (che dovrebbero lasciare un po' più di spazio alla concorrenza e dare dinamismo al sistema economico giapponese) non sia mai stata scoccata non è un mistero. Ogni riforma che dia effettivamente più spazio al mercato ha una notevole controindicazione politica: produce effetti benefici non immediati, mentre il malcontento di chi vede erosa la propria più o meno consistente rendita di posizione è immediato. Il che suona spesso come un suicidio per chi governa.
Quindi di riforme pro mercato se ne parla al massimo in campagna elettorale, salvo poi soprassedere. Oppure esiste la variante renziana, tesa a spacciare per riforma ogni provvedimento legislativo fatto approvare con voto di fiducia. Così, per esempio, l'assunzione di 100mila insegnanti diventa "la buona scuola" (con qualche altra cosa al contorno).
Ma restiamo al Giappone. La freccia delle riforme effettivamente non è mai stata scoccata, ma sostenere che gli stimoli fiscali sono inferiori alle attese non mi sembra il modo migliore di descrivere i fatti. Non si può certo dire che la politica fiscale giapponese sia restrittiva: con Abe al governo il Giapopne ha accumulato deficit per circa 8 punti di Pil ogni anno (non che i predecessori avessero fatto cose tanto diverse).
Semmai tutto questo deficit non ha prodotto ripresa economica, ma questo può stupire solo chi crede in una versione di keynesismo perfino più sgangherata dell'originale. Se davvero il deficit spending facesse i miracoli, il Giappone negli ultimi 20 anni sarebbe cresciuto più di ogni altro Paese al mondo. Invece l'unico record l'ha raggiunto nell'aumento del debito pubblico.
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