Scorie - La banca che non ci manca
"In un mondo segnato da quella che Keynes chiamava «irriducibile incertezza», il 'lasciare che le cose vadano per il loro corso' non può essere una raccomandazione per tutte le stagioni."
(F. Galimberti)
Recensendo il libro di Pierluigi Ciocca dal titolo "La banca che ci manca", in cui l'autore critica l'attuale assetto della Bce e ne auspica una rivisitazione profonda delle prerogative e del mandato, Fabrizio Galimberti ne ha approfittato per partire dal suo idolo Keynes.
Scelta quasi inevitabile, dato l'obiettivo della recensione, ossia quello di condividere in pieno il punto di vista di Ciocca. In fin dei conti è proprio sul cosa fare di fronte all'incertezza che Keynes e tutti i suoi seguaci (tra i quali l'autore del libro e il suo recensore) furono e sono fortemente critici nei confronti del laissez faire.
Ciocca, come già Keynes, considera il capitalismo intrinsecamente "instabile". Da ciò trae giustificazione l'interventismo (per lo più fiscale e monetario), perché il mercato non sarebbe in grado di autoregolarsi. Il problema è che gli interventisti tendono a considerare instabile tutto ciò che non si muove nella direzione e con le modalità da essi stessi auspicate e, al tempo stesso, non vogliono neppure prendere in considerazione che l'instabilità sia una conseguenza dell'interventismo precedente.
Resta il fatto che, dopo 80 anni di keynesismo, non è ancora nato un regolatore onnisciente. E credo di poter dare una la cattiva notizia ai keynesiani: non nascerà mai. Per questo ogni interventismo porta conseguenze inintenzionali per rimediare alle quali, invece di una astensione da nuovi interventi, gli interventisti stessi ne chiedono di nuovi. Un processo che conduce al socialismo, come lucidamente spiegò Ludwig von Mises negli anni in cui il keynesismo era il verbo quasi incontrastato. L'aggravante, oggi, è che i keynesiani continuano imperterriti a ignorare ben 80 anni di insuccessi nello "stabilizzare" l'economia.
Nel suo libro, Ciocca parla della banca centrale europea "ideale", in contrapposizione a quella attuale. Una banca centrale che dovrebbe essere fortemente autonoma e discrezionale. Autonomia e discrezionalità di una Banca centrale "devono potersi volgere:
a) In politica monetaria, alla stabilità dei prezzi e al pieno utilizzo delle risorse;
b) nella cura del sistema finanziario, a evitarne l'illiquidità e a contrastarne il crollo anche arrivando a sostenere l'operatore insolvente;
c) nel finanziamento dello Stato, ad assicurare la continuità dei pagamenti pubblici, allorché allo Stato, pur solvibile, viene precluso l'accesso al mercato del danaro."
Per quanti riguarda il primo punto, Ciocca vorrebbe un duplice obiettivo, simile a quello della Federal Reserve statunitense. Evidentemente i risultati non certo esaltanti di un secolo di storia della Fed, soprattutto in merito la perdita di potere d'acquisto del dollaro, non vogliono dire nulla per Ciocca.
Quanto al secondo punto, qui si va ben oltre i prestiti di ultima istanza che per Walter Bagehot avrebbero dovuto essere riservati a banche in situazione di illiquidità ma non in stato di insolvenza. Secondo Ciocca andrebbe evitato anche il fallimento delle banche insolventi, con buona pace del moral hazard, che già peraltro dilaga assieme alla riserva frazionaria quando c'è un prestatore di ultima istanza.
Venendo al terzo punto, si parte dall'"assicurare la continuità dei pagamenti pubblici", e si finisce per monetizzare ogni spesa, in quanto "indispensabile". Se già è dannosa la monetizzazione indiretta delle spese pubbliche tipica dei sistemi monetari attuali, si pensi a quali sarebbero gli esiti di una monetizzazione diretta. Un piccolo esempio potrebbe essere ciò che accadeva in Italia fino al 1981. Chissà quale "stabilizzazione" si avrebbe.
Galimberti appare visibilmente (e prevedibilmente) entusiasta del libro di Ciocca. Per me, al contrario, quella che egli delinea è la banca che non ci manca affatto.
(F. Galimberti)
Recensendo il libro di Pierluigi Ciocca dal titolo "La banca che ci manca", in cui l'autore critica l'attuale assetto della Bce e ne auspica una rivisitazione profonda delle prerogative e del mandato, Fabrizio Galimberti ne ha approfittato per partire dal suo idolo Keynes.
Scelta quasi inevitabile, dato l'obiettivo della recensione, ossia quello di condividere in pieno il punto di vista di Ciocca. In fin dei conti è proprio sul cosa fare di fronte all'incertezza che Keynes e tutti i suoi seguaci (tra i quali l'autore del libro e il suo recensore) furono e sono fortemente critici nei confronti del laissez faire.
Ciocca, come già Keynes, considera il capitalismo intrinsecamente "instabile". Da ciò trae giustificazione l'interventismo (per lo più fiscale e monetario), perché il mercato non sarebbe in grado di autoregolarsi. Il problema è che gli interventisti tendono a considerare instabile tutto ciò che non si muove nella direzione e con le modalità da essi stessi auspicate e, al tempo stesso, non vogliono neppure prendere in considerazione che l'instabilità sia una conseguenza dell'interventismo precedente.
Resta il fatto che, dopo 80 anni di keynesismo, non è ancora nato un regolatore onnisciente. E credo di poter dare una la cattiva notizia ai keynesiani: non nascerà mai. Per questo ogni interventismo porta conseguenze inintenzionali per rimediare alle quali, invece di una astensione da nuovi interventi, gli interventisti stessi ne chiedono di nuovi. Un processo che conduce al socialismo, come lucidamente spiegò Ludwig von Mises negli anni in cui il keynesismo era il verbo quasi incontrastato. L'aggravante, oggi, è che i keynesiani continuano imperterriti a ignorare ben 80 anni di insuccessi nello "stabilizzare" l'economia.
Nel suo libro, Ciocca parla della banca centrale europea "ideale", in contrapposizione a quella attuale. Una banca centrale che dovrebbe essere fortemente autonoma e discrezionale. Autonomia e discrezionalità di una Banca centrale "devono potersi volgere:
a) In politica monetaria, alla stabilità dei prezzi e al pieno utilizzo delle risorse;
b) nella cura del sistema finanziario, a evitarne l'illiquidità e a contrastarne il crollo anche arrivando a sostenere l'operatore insolvente;
c) nel finanziamento dello Stato, ad assicurare la continuità dei pagamenti pubblici, allorché allo Stato, pur solvibile, viene precluso l'accesso al mercato del danaro."
Per quanti riguarda il primo punto, Ciocca vorrebbe un duplice obiettivo, simile a quello della Federal Reserve statunitense. Evidentemente i risultati non certo esaltanti di un secolo di storia della Fed, soprattutto in merito la perdita di potere d'acquisto del dollaro, non vogliono dire nulla per Ciocca.
Quanto al secondo punto, qui si va ben oltre i prestiti di ultima istanza che per Walter Bagehot avrebbero dovuto essere riservati a banche in situazione di illiquidità ma non in stato di insolvenza. Secondo Ciocca andrebbe evitato anche il fallimento delle banche insolventi, con buona pace del moral hazard, che già peraltro dilaga assieme alla riserva frazionaria quando c'è un prestatore di ultima istanza.
Venendo al terzo punto, si parte dall'"assicurare la continuità dei pagamenti pubblici", e si finisce per monetizzare ogni spesa, in quanto "indispensabile". Se già è dannosa la monetizzazione indiretta delle spese pubbliche tipica dei sistemi monetari attuali, si pensi a quali sarebbero gli esiti di una monetizzazione diretta. Un piccolo esempio potrebbe essere ciò che accadeva in Italia fino al 1981. Chissà quale "stabilizzazione" si avrebbe.
Galimberti appare visibilmente (e prevedibilmente) entusiasta del libro di Ciocca. Per me, al contrario, quella che egli delinea è la banca che non ci manca affatto.
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