Scorie - L'economia sottosopra a 5S




Pasquale Tridico, che Luigi Di Maio ha indicato prima elle elezioni come ministro del lavoro in un ipotetico governo guidato dal M5S, ha scritto un articolo pubblicato sul Sole 24Ore dal titolo "Al Sud non servono gabbie salariali ma investimenti."

Tridico, che insegna Economia del Lavoro e di Politica Economica all'Università Roma Tre Tor Vergata, è colui che ha indicato la via del finanziamento in deficit del reddito di cittadinanza, a suo dire con flessibilità pressoché garantita dalla Ue per via del fatto che un aumento delle persone in cerca di lavoro (condizione per avere diritto all'assegno mensile) aumenterebbe l'output gap, quindi il deficit a cui poter ricorrere per colmare questo gap. Che qualcuno, fuori dall'Italia, si beva queste sciocchezze è del tutto improbabile, ma questo passa il convento pentastellato.

Nell'articolo in questione, Tridico contesta uno studio che ha tra gli autori Tito Boeri, attuale presidente dell'INPS.

"Una recente ricerca sui divari di produttività del lavoro tra Nord e Sud Italia, di Tito Boeri, Andrea Ichino, Enrico Moretti e Johanna Posch, presentata al Dipartimento di Economia dell'Università di Roma Tre il 10 aprile (la prima versione è del 2014) ha fatto molto discutere per le conseguenze di politica economica che potrebbero essere così sintetizzate: derogare alla contrattazione collettiva in favore di quella decentralizzata (oppure differenziarla tra Nord e Sud), e ridurre i salari al Sud, dove la produttività del lavoro è più bassa."

Non è la prima volta che questo tema emerge, perché le cause saranno anche molteplici, ma che la produttività non sia omogenea a livello territoriale è indiscutibile, così come, mediamente parlando, sono indiscutibili i divari di costo della vita.

Tridico è contrario, e non potrebbe essere altrimenti, non fosse altro per il fatto che il M5S raccoglie molti voti nelle regioni meridionali.

"Queste conclusioni di policy sono, a parere di chi scrive, profondamente sbagliate, non solo perché riporterebbero il Paese indietro verso le "gabbie salariali" degli anni 50 e 60 che hanno peggiorato drammaticamente i divari di reddito tra Nord e Sud, ma anche perché non trovano solido riscontro nell'evidenza empirica."

Vediamo se l'evidenza empirica a cui fa riferimento Tridico può effettivamente superare il fatto che la produttività sia inferiore al sud e che anche il costo della vita non sia allo stesso livello delle regioni settentrionali.

Ovviamente con l'empirismo il problema è sempre legato al cherry picking, ossia alla scelta dei dati che portano acqua alla propria tesi.

"Innanzitutto nel Mezzogiorno i salari sono già inferiori di circa 20 punti rispetto a quelli del Nord Ovest e di circa 15 punti rispetto a quelli del Nord Est, come dimostrato da Franzini, Granaglia e Raitano in un paper pubblicato sul Menabò di Etica ed Economia N 47 del 2016. In secondo luogo, la composizione settoriale dell'industria al Sud è storicamente posizionata, anche a causa delle gabbie salariali, su settori a basso contenuto tecnologico, propensi a più bassi guadagni di produttività, e con più bassi salari medi. Questo significa che la produttività non è una variabile esogena ma endogena, che dipende da investimenti, composizione settoriale, domanda e altri fattori di contesto socio-economici."

Non sto a discutere sulla correttezza dei dati a cui fa riferimento Tridico. Mi limito a osservare che se le gabbie salariali sono state superate da diversi decenni, il tempo per cambiare le cose ci sarebbe stato. Se certi investimenti non sono stati fatti, evidentemente le imprese hanno di volta in volta ritenuto che il rischio non fosse adeguatamente remunerato. Resta il fatto che la produttività è inferiore rispetto al nord e che, evidentemente, i divari citati nei salari non sono sufficienti a colmare quel gap.

"Seguendo questo approccio, che si rifà ad economisti come Keynes, Kaldor o Sylos Labini, potrebbe essere utile persino aumentare i salari piuttosto che ridurli. Anzi, la riduzione dei salari al Sud, alla vigilia della nuova rivoluzione tecnologica Industria 4.0, approfondirebbe ulteriormente il gap tecnologico con il Nord, perché spingerebbe le imprese verso la facile scelta di intensificare gli investimenti labour intensive, sfruttando il più basso costo del lavoro, invece di optare per investimenti capital intensive, quindi in nuove tecnologie che porterebbero a maggiori guadagni di produttività. Nel lungo periodo, la riduzione dei salari potrebbe quindi portare a più bassi livelli di produttività."

Beh, quando c'è di mezzo Keynes non ci si deve stupire se la logica del buon senso viene ribaltata. I salari sono troppo alti, rispetto alla produttività? La soluzione sarebbe quella di aumentarli. Così le imprese investono in automazione. Tridico probabilmente suppone che i lavoratori che oggi sono (certamente anche per via dei minori e peggiori investimenti) meno produttivi che altrove, avrebbero dall'oggi al domani le competenze necessarie per fare attività diverse da quelle che fanno oggi, che con Industria 4.0 verrebbero svolte da macchine. Misteri della fede keynesian-pentastellata.

"Infine i saldi dei flussi migratori sono di gran lunga positivi al Nord, dunque non è vero che i salari reali al Nord siano più bassi rispetto al Sud (almeno non quelli percepiti), perché altrimenti dovremmo osservare flussi migratori verso il Sud. Lo studio di Boeri e coautori si basa sull'affermazione che il costo della vita al Nord è più alto rispetto al Sud, che è molto controversa. Lo studio approssima il costo della vita ad un indice che dipende dal prezzo delle case che non dice nulla rispetto alla variazione dei prezzi all'interno delle stesse città. Franzini, Granaglia e Raitano argomentano nel paper citato: «i differenziali interni ad ogni area sono enormi. I valori massimi in alcuni quartieri di centro e periferia – in euro al metro quadro, nel 2015 – a Milano oscillano fra 9.800 (Brera) e 2.200 (Lambrate), a Torino fra 3.100 (Castello) e 2.000 (Mirafiori), a Roma fra 8.400 (Aventino) e 2.450 (Torre Maura), a Napoli fra 7.700 (Posillipo) e 2.150 (Secondigliano)»."

I flussi migratori verso il Nord evidentemente dipendono dalle opportunità di trovare un lavoro. Se al Sud ci sono meno opportunità (cosa difficilmente contestabile) è inevitabile che una persona accetti lo stesso salario reale trasferendosi altrove.

Quanto alla scelta del parametro da utilizzare per misurare il costo della vita, ognuno è in qualche misura arbitrario. Anche in questo caso il cherry picking è sempre in agguato. Resta il fatto che chiunque si rechi al Sud si rende conto che la vita costa meno (lo sostengono sovente gli stessi meridionali). Ovviamente non a Posillipo, va da sé.

"C'è un'altra questione. Al Sud il tenore di vita è drammaticamente compromesso dalla qualità e quantità dei servizi e delle infrastrutture pubbliche e dal continuo sotto-investimento del Sud rispetto al Nord, sia pubblico, sia privato. Se anche fosse vero che il costo della vita al Nord sia più alto che al Sud, tale differenza sarebbe oltremodo compensata da servizi e infrastrutture pubbliche, come rilevato in uno studio della Banca d'Italia (Giovanni D'Alessio, Qef n. 385/2017). Questo disincentivo, insieme ad altri importanti fattori (maggiore criminalità nel Sud, minore efficienza della Pa locale) impedisce -come gli autori dello studio invece auspicano-, che i salari più bassi al Sud possano attrarre imprese e investimenti privati a spostarsi dal Nord. Piuttosto che abbassare i salari al Sud, sarebbe assolutamente prioritario investire sulle infrastrutture pubbliche e migliorare i servizi, oltre che aggredire pesantemente la criminalità e migliorare l'efficienza di alcune amministrazioni locali."

Anche questi sono fattori "endogeni". Se i trasferimenti da Nord a Sud non hanno mai smesso di esserci, ma quei soldi sono stati rubati o sperperati, forse mettere altri soldi (presi sempre dalle stesse tasche) non è la soluzione.
Ma adesso viene il meglio.

"Ma se è vero come è vero che la produttività al Nord è più alta che al Sud, perché le imprese non alzano i salari al Nord con la contrattazione secondaria?"

Forse perché, per esempio, l'Italia non è il mondo e le imprese devono competere a livello internazionale?

"Sulla diffusione della contrattazione secondaria andrebbe fatta una seria riflessione. Potrebbe essere ripresa la mia proposta di "Patto per la Produttività Programmata" nel quale organizzazioni datoriali, sindacati e governo dovrebbero fissare, ex ante, obiettivi di produttività e crescita degli investimenti, ai quali legare in modo stringente con incentivi e sanzioni reali, tutti i contraenti, come anche altri economisti (S. Fadda, G. Ciccarone, M. Messori, Antonioli e Pini) hanno sostenuto di recente."

La contrattazione dovrebbe essere più decentrata possibile, mentre le liturgie con tavoli sovraffollati di ministri e sindacalisti (di lavoratori e imprese) che fanno le ore piccole per giustificare ai propri iscritti di aver lavorato per loro è uno dei problemi, non la soluzione.

Questo, comunque, è quello che passa il convento pentastellato, votato da circa un terzo di coloro che il 4 marzo scorso sono andati alle urne.

Come si fa a essere ottimisti?
 
 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".


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