Scorie - Solite balle sulla spending review




Anche quest'anno il governo ha incaricato Yoram Gutgeld, commissario alla spending review, di relazionare in merito ai risultati ragigunti.
Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, con sempre minore senso del pudore, ha affermato:

"Dopo la presentazione della relazione sulla spending review mi auguro di leggere un po' meno che in Italia la spending non si è fatta o si è fatta male."

Certamente c'è stata revisione della spesa, nel senso che si sono spostate somme da taluni capitoli ad altri, senza peraltro che si sia percepito alcun beneficio per chi paga le tasse. Ma in termini complessivi la spesa non è stata ridotta (semmai il contrario), quindi credo sia legittimo concludere – Padoan se ne faccia una ragione – che sia stata fatta male.

Le chiacchiere non trovano riscontro nei numeri, nonostante Gutgeld abbia cercato di "giocare" con gli stessi per intestare a se stesso e al governo risultati inesistenti.

Dato che il periodo preso in esame dal commissario è il triennio 2014-2016, è bene iniziare dai numeri. A fine 2013 la spesa pubblica complessiva ammontava a 815,7 miliardi. A fine 2016 era a quota 829,3 miliardi, con un aumento di 13,6 miliardi.

In rapporto al Pil nominale, la spesa totale è diminuita di 1,2 punti percentuali. Ma, al netto degli interessi, il calo è stato solo dello 0,4 per cento del Pil.

Le voci di spesa realmente diminuite sono quelle relative agli interessi sul debito (e questo non dipende dalla spending review) e agli investimenti pubblici (quelli di cui tanto si riempiono la bocca i keynesiani di ogni dove). Le spese correnti sono aumentate di oltre 22 miliardi.

Come sempre, poi, il bonus renziano da 80 euro è stato considerato, a seconda della convenienza, come minori tasse o maggiori prestazioni sociali, nel tentativo di sostenere che si sono calate le tasse pur aumentando le prestazioni sociali, riducendo al contempo il deficit. Correttezza vorrebbe che la stessa somma fosse considerata in un unico modo, onde non moltiplicarne virtualmente i presunti benefici.

A mio parere il passaggio del saldo primario dal 2,1 all'1,5 per cento del Pil rende evidente che di risanamento non c'è stata ombra, nonostante il beneficio per le casse dello Stato di una riduzione della spesa per interessi dovuta al Qe della BCE.

Quando questo effetto dopante verrà meno, l'Italia resterà con un debito pubblico che ha continuato comunque ad aumentare (anche in rapporto al Pil), e allora non ci sarà gioco di prestigio sui numeri che tenga.


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