Scorie - Piaghe mondiali
"Il mini-petrolio contribuisce a tenere bassa l'inflazione globale: questo fa piacere a chi va alla pompa di benzina, ma è un problema enorme per chi è indebitato. Perché la bassa inflazione contribuisce ad aumentare il fardello. E il problema dell'iper-indebitamento è ormai globale: si pensi che il debito totale (pubblico più privato) a livello mondiale era pari al 175% del Pil nel 2007 e ora supera il 210% del Pil. L'inflazione bassa, insomma, è una piaga mondiale."
(M. Longo)
Nonostante mi capiti di imbattermi quasi quotidianamente in affermazioni come quella riportata, continuo a stupirmi ogni volta della totale assenza di ragionevolezza che dimostra chi le fa (ammesso che sia in buona fede).
Prima di fare considerazioni più generali, vorrei brevemente sottolineare che il calo del prezzo internazionale del petrolio può essere un problema per le imprese del settore e per i Paesi esportatori, molti dei quali hanno accumulato debiti contando sul collaterale presente nel sottosuolo (il caso del Venezuela è solo il più emblematico). Viceversa, per chi è importatore e consumatore, come l'Italia, il calo del prezzo è un toccasana.
Ciò premesso, è indiscutibile che una bassa inflazione dei prezzi al consumo determini, a parità di tassi nominali, maggiori tassi reali e, di conseguenza, non eroda (o non lo faccia quanto vorrebbero i debitori) l'onere del debito. Ma l'aumento del debito mondiale in rapporto al Pil dal 2007 a oggi (e lo stesso vale su periodi temporali più estesi) non è dovuto a una presunta carenza di inflazione, bensì alla tendenza degli Stati a spendere costantemente (in parecchi casi progressivamente) più di quello che incassano, anche quando quello che incassano è già una somma elevata sia in valore assoluto, sia in rapporto al Pil.
Il vero problema è che in molti casi la crescita reale del Pil è inferiore ai tassi di interesse reale sul debito, anche quando questi ultimi sono a livelli bassi. Ci si dovrebbe chiedere, allora, perché il Pil non cresca, o cresca poco. I keynesiani sostengono che vi sia una carenza di domanda, e che questa dovrebbe essere stimolata mediante una politica fiscale espansiva, preferibilmente con aumenti di spesa per investimenti pubblici.
Pur volendo prescindere da valutazioni sulla opportunità e sugli esiti dello Stato come investitore e/o imprenditore, cercare di aumentare il Pil facendo deficit non ha portato risultati entusiasmanti, dato che l'accumulazione di deficit ha superato la crescita del Pil (alla faccia del magico moltiplicatore keynesiano), generando un'espansione del rapporto tra debito e Pil.
Ricorrere a un mix di tassazione esplicita e implicita (inflazione) per contenere il debito non ha portato finora risultati apprezzabili, dato che l'aumento della pressione fiscale frena la produzione e la crescita dell'economia reale.
Invece di auspicare un aumento della tassazione implicita e considerare la bassa inflazione dei prezzi al consumo "una piaga mondiale", credo sarebbe opportuno mettere in discussione un modello che genera più debito che Pil. Iniziando a ridimensionare l'area di intervento statale e, di conseguenza, spesa pubblica e tassazione.
In definitiva, sarebbe ora di identificare ciò che è veramente una piaga mondiale, e agire di conseguenza.
(M. Longo)
Nonostante mi capiti di imbattermi quasi quotidianamente in affermazioni come quella riportata, continuo a stupirmi ogni volta della totale assenza di ragionevolezza che dimostra chi le fa (ammesso che sia in buona fede).
Prima di fare considerazioni più generali, vorrei brevemente sottolineare che il calo del prezzo internazionale del petrolio può essere un problema per le imprese del settore e per i Paesi esportatori, molti dei quali hanno accumulato debiti contando sul collaterale presente nel sottosuolo (il caso del Venezuela è solo il più emblematico). Viceversa, per chi è importatore e consumatore, come l'Italia, il calo del prezzo è un toccasana.
Ciò premesso, è indiscutibile che una bassa inflazione dei prezzi al consumo determini, a parità di tassi nominali, maggiori tassi reali e, di conseguenza, non eroda (o non lo faccia quanto vorrebbero i debitori) l'onere del debito. Ma l'aumento del debito mondiale in rapporto al Pil dal 2007 a oggi (e lo stesso vale su periodi temporali più estesi) non è dovuto a una presunta carenza di inflazione, bensì alla tendenza degli Stati a spendere costantemente (in parecchi casi progressivamente) più di quello che incassano, anche quando quello che incassano è già una somma elevata sia in valore assoluto, sia in rapporto al Pil.
Il vero problema è che in molti casi la crescita reale del Pil è inferiore ai tassi di interesse reale sul debito, anche quando questi ultimi sono a livelli bassi. Ci si dovrebbe chiedere, allora, perché il Pil non cresca, o cresca poco. I keynesiani sostengono che vi sia una carenza di domanda, e che questa dovrebbe essere stimolata mediante una politica fiscale espansiva, preferibilmente con aumenti di spesa per investimenti pubblici.
Pur volendo prescindere da valutazioni sulla opportunità e sugli esiti dello Stato come investitore e/o imprenditore, cercare di aumentare il Pil facendo deficit non ha portato risultati entusiasmanti, dato che l'accumulazione di deficit ha superato la crescita del Pil (alla faccia del magico moltiplicatore keynesiano), generando un'espansione del rapporto tra debito e Pil.
Ricorrere a un mix di tassazione esplicita e implicita (inflazione) per contenere il debito non ha portato finora risultati apprezzabili, dato che l'aumento della pressione fiscale frena la produzione e la crescita dell'economia reale.
Invece di auspicare un aumento della tassazione implicita e considerare la bassa inflazione dei prezzi al consumo "una piaga mondiale", credo sarebbe opportuno mettere in discussione un modello che genera più debito che Pil. Iniziando a ridimensionare l'area di intervento statale e, di conseguenza, spesa pubblica e tassazione.
In definitiva, sarebbe ora di identificare ciò che è veramente una piaga mondiale, e agire di conseguenza.
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