Scorie - Il fallimento della lotta al contante indiana
Lo scorso novembre, mentre il mondo era intento a fare i conti con l'inattesa elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, il governo indiano annunciò a sorpresa che i cittadini avrebbero avuto 50 giorni per andare in banca a depositare o sostituire tutte le banconote da 500 e 1000 rupie, le più utilizzate in un Paese nel quale si stimava che l'86% delle transazioni fosse regolata in contanti.
All'epoca la mossa a sorpresa del governo indiano riscosse gli applausi di tutti i fautori della lotta al contante, ovviamente con la scusa che il contante è usato da criminali e riciclatori di denaro usato per traffici illegali.
A parte la semiparalisi che subì per giorni l'economia indiana, con file chilometriche di persone che andavano in banca per cambiare il contante e le banche che inizialmente non disponevano neppure delle nuove banconote da dare in cambio delle vecchie, la lotta al nero e al riciclaggio è stata uno spettacolare insuccesso.
In sostanza, a quanto risulta dai dati forniti dalla banca centrale indiana, il 99% delle rupie illegali è stata regolarmente convertita. Ciò significa che chi aveva grandi quantità di contanti è riuscito, distribuendolo a conoscenti, a convertirlo senza incappare nella rete del fisco.
Commentava qualche giorno fa Gianluca Di Donfrancesco sul Sole 24Ore:
"Intanto, alla beffa, si aggiunge il danno. La stampa di nuove banconote è costata alla Banca centrale quasi 80 miliardi di rupie, il doppio rispetto a quanto spende in media ogni anno. I suoi utili hanno così subito una contrazione che si trasforma in un minor dividendo per le casse dello Stato. E siccome le cattive notizie non vengono mai sole, ieri l'Ufficio di statistica ha reso noto che nel trimestre tra aprile e giugno, la crescita del Pil ha frenato al 5,7%, dal 6,1 dei tre mesi precedenti e ai minimi dal 2014."
Non c'è da stupirsi. Questo succede quando si pretende di "governare" l'economia.
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