Scorie - Non esistono vie indolori alla riduzione del debito
Leggo sempre con interesse le proposte che promettono di ridurre il debito pubblico in modo indolore, o quasi. Lo faccio per individuarne i punti deboli, perché credo che non esista una via indolore alla riduzione del debito. Di qualsiasi debito si tratti. Potrà essere indolore per qualcuno, ma non per tutti.
Michele Fratianni e Paolo Savona potrebbero essere definiti "risolutori seriali", avendo avanzato diverse proposte nel corso del tempo.
"La nostra proposta si cala nel solco della letteratura economica che va indietro nel tempo e tiene conto dei progressi tecnologici registrati ai giorni nostri. Essa consiste nel dividere le banche che raccolgono moneta (money bank) da quelle che concedono credito (credit bank) al fine di annullare i rischi e oneri di gestione delle insolvenze che gravano sui depositi e di concentrare l'attività delle banche nella valutazione del merito per concedere credito al fine di ridurre le sofferenze. Nella nostra proposta il credito non sarebbe più finanziato da depositi ma da capitale e obbligazioni."
La premessa sembra interessante, perché, a prima vista, parrebbe comportare il superamento del sistema della riserva frazionaria. Non credo sarebbe necessario separare le banche dei due tipi: sarebbe sufficiente imporre un requisito di riserva pari al 100 per cento sui depositi a vista.
Proseguono Fratianni e Savona:
"Nella nostra proposta, i risparmiatori sposterebbero i loro depositi su basi volontarie presso una nuova istituzione statale, la banca-moneta, la quale li custodirebbe nella catena telematica blockchain attivabile solo da parte dei titolari per effettuare pagamenti con un semplice click dal telefonino o dal computer, senza che forze a questi esterne possano usarle per altri fini. La banca moneta collateralizzerebbe i depositi con debito pubblico e, di conseguenza, l'ammontare dei depositi entrerebbe nel calcolo di tale debito come una posta attiva, ossia in senso riduttivo."
Tralascio di riportare tutti i pregi della proposta secondo i suoi autori, concentrandomi invece su ciò che non funziona.
A non funzionare è la trasformazione di una passività in un'attività. Supponiamo che i risparmiatori spostino volontariamente 800 miliardi (somma ipotizzata dagli autori, pari all'ammontare dei depositi attualmente garantibili dal fondo di tutela). Supponiamo anche che questo non provochi il default dell'intero sistema bancario, cosa che in realtà avverrebbe, perché buona parte di quegli 800 miliardi oggi sono utilizzati per fare credito, essendo in essere un sistema a riserva frazionaria.
Collateralizzare i depositi presso la banca statale con debito pubblico significa che questa dovrebbe comprare titoli di Stato per 800 miliardi. Ciò significherebbe togliere dal mercato 800 miliardi di titoli. Essendo la banca di proprietà statale, nel bilancio consolidato dello Stato sarebbe come ridurre le passività rappresentate da titoli di 800 miliardi.
C'è un problema, però: i soldi utilizzati per comprare quei titoli sono dei depositanti, i quali ne restano proprietari. Quindi o non diminuisce il debito in titoli, o si considerano passività quei depositi. L'utilizzo della blockchain potrebbe sembrare un tentativo degli autori per rendere i depositi immuni dalle mire statali in caso di "necessità". Ma ciò sarebbe possibile solo si trattasse di una blockchain simile a quella su cui è basato il bitcoin. Se, al contrario, si trattasse di una blockchain simile a quelle che stanno sviluppando diverse banche, i soldi dei depositanti sarebbero sempre soggetti al rischio che l'amministratore del sistema (qualcuno, come me, pensa allo Stato?) li renda oggetto delle proprie "attenzioni".
In definitiva, non ci sarebbe nessuna reale riduzione del debito.
Trovo comunque condivisibili le parole di Fratianni e Savona quando concludono che, "come per gli altri progetti avanzati, il presupposto è che la politica ponga fine irreversibilmente all'aumento della spesa pubblica in deficit, per non trovarsi sempre di fronte alla necessità si aumentare le tasse a seguito di aumenti di spesa, con effetti deflazionistici che peggiorano il rapporto debito pubblico/pil."
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