Scorie - Se lo Stato non è messo a dieta il debito non cala


Ai tanti che si sono fin qui cimentati nel proporre idee per ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil si sono aggiunti Tancredi Bianchi e Marina Brogi, secondo i quali il Tesoro dovrebbe emettere BTP con cedole superiori ai rendimenti correnti richiesti dagli investitori sul mercato.



"La politica delle nuove emissioni di titoli del debito pubblico può mirare, come avviene attualmente, a collocare i valori al nominale con cedola annuale e, grosso modo, corrispondente ai rendimenti correnti per durate analoghe oppure, in alternativa, potrebbe porre in asta titoli con una cedola già fissata, superiore ai rendimenti di mercato, volta a perseguire un collocamento in asta superiore al valore nominale di rimborso a scadenza. In questa seconda alternativa, per esempio, proponendo un titolo ventennale con cedola annuale al 6%, essendo il rendimento di mercato per pari durata, circa al 3%, si potrebbe incassare 150 per 100 di rimborso a maturazione. In altri termini dal punto di vista finanziario, è equivalente porre in circolazione titoli ventennali al 3% emessi alla pari, con un valore nominale uguale al rimborso a maturazione, oppure mettere sul mercato titoli di uguale valore a rimborso, ma incassando all'emissione 150 per 100 e impegnandosi però a pagare nei successivi 20 anni una cedola doppia, ma a parità di entrate, su un minor valore nominale di emissione. Ovvio, i valori indicati sono arrotondati, per comodità di dettato, e non sono matematicamente puntuali, ma indicano una buona approssimazione."

Puntando sul fatto che nel rapporto tra debito e Pil il debito è conteggiato al valore nominale, meno valore nominale si emette, minore risulta il debito. Il suo costo, però, aumenterebbe in termini di spesa corrente. Lo riconoscono gli stessi autori.

"Alla fine, l'alternativa è tra una maggiore spesa corrente per interessi sul debito statale ma un minor valore nominale del debito stesso circolante e una minore spesa corrente ma un maggiore ammontare nominale del debito."
A parte le considerazioni sulle implicazioni fiscali per gli investitori nettisti (i quali, peraltro, sono ormai una netta minoranza), delle quali non mi occupo in questa sede, un'idea del genere può avere i seguenti esiti.

1) La maggiore spesa per interessi è compensata da riduzioni di altre spese per almeno lo stesso importo.

2) La maggiore spesa per interessi è coperta da un aumento delle tasse di pari importo.

3) La maggiore spesa per interessi si traduce in maggior deficit.

Considerando la propensione alla riduzione della spesa fin qui dimostrata concretamente (non a parole) da qualunque maggioranza di governo, ritengo abbastanza poco probabile il primo esito.

Resterebbero quindi gli altri due. Il secondo si tradurrebbe in un incremento immediato dell'onere a carico dei pagatori di tasse, e non sarebbe diverso da una politica fiscale comunque restrittiva a prescindere dal tipo di emissioni di titoli di Stato. Il terzo farebbe aumentare il debito tramite il deficit, a parità di altre condizioni, ocn conseguenti oneri futuri per i medesimi pagatori di tasse.

In definitiva, al netto di eventuali operazioni straordinarie, il debito in rapporto al Pil può diminuire solo se il numeratore diminuisce o aumenta meno del denominatore.

I venditori di fumo che hanno governato in passato e che si apprestano a governare vanno prospettando miracolistiche operazioni in deficit che moltiplicherebbero l'espansione del Pil, e la cosa triste è che in molti credano ancora a queste stupidaggini ampiamente smentite dalla storia, se già non bastasse il buon senso.

Ma con un debito che gravita attorno al 130% del Pil non se ne esce se non si inizia dalla riduzione del deficit. La quale può essere effettuata aumentando le entrate o riducendo le uscite. Aumentare ulteriormente le entrate, al di là delle obiezioni etiche di un libertario, strozzerebbe il Pil. Sarebbe quindi necessario ridurre le spese e anche le entrate. Riducendo le prime più delle seconde si avrebbe una riduzione del deficit.

I venditori di fumo di cui sopra ritengono che la riduzione di spesa ridurrebbe il Pil (di un multiplo, ovviamente). Fino a quando costoro avranno la maggioranza dei voti, non si avrà nessuna reale riduzione di spesa.

Ahimè.
 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".



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