Scorie - Anche quest'anno l'8 marzo è passato




Ogni anno, in occasione dell'8 marzo, non può mancare una pioggia di retorica femminista. Al Sole 24Ore la femminista per eccellenza è Monica D'Ascenzo, che, in questo 2018 nel quale l'8 marzo coincide con il periodo immediatamente successivo alle elezioni politiche, non poteva non far presente la necessità di ripristinare il ministero della Pari opportunità.

D'Ascenzo inizia così:

"L'Italia ha archiviato il 2017 con una crescita del Pil dell'1,5 per cento. Ma se l'occupazione femminile, oggi al record storico del 49,3%, raggiungesse la media europea del 60%, l'economia crescerebbe del 7%."

Affermazione che pare escludere ogni dubbio sul fatto che quel 7% di maggior Pil si realizzerebbe se tutte le altre condizioni non cambiassero. Circostanza utile per fare certi ragionamenti, ma che richiederebbe quanto meno di essere specificata. Non è affatto certo, quindi, che ci sarebbe una maggior crescita del 7%. Potrebbe essere di più, oppure di meno. Ma mi rendo conto che quando si deve difendere una tesi precostituita non sia utile andare troppo per il sottile.

Bontà sua, D'Ascenzo ammette che non esiste una formula magica.

"La formula magica per sanare una situazione, che non vede segni di discontinuità, non esiste. È necessaria innanzitutto la volontà politica ad affrontare il problema e l'elaborazione di un piano strategico integrato che tenga insieme tutti quegli interventi tampone, e a volta maldestri, che sono stati tentati negli anni."

Come no: serve sempre un piano. Strategico, ovviamente. Peccato che sovente i piani siano pie illusioni perfino a livello aziendale (utili per lo più a consulenti specializzati in presentazioni in power point e regolatori che impongono la stesura di questi piani; tutta gente che, per dirla con Nassim Taleb, non ha "Skin in The Game"), figuriamoci a livello statale.

Ovviamente il piano deve partire dall'istruzione.

"A cominciare dall'istruzione, dove il Paese rimane ancora maglia nera per gli investimenti con il risultato di avere pochi laureati (siamo ai livelli più bassi d'Europa) e tanti Neet, vale a dire giovani che non studiano, non lavorano e non sono in cerca. Investire nell'istruzione vuol dire costruire il percorso per le competenze che serviranno al mondo del lavoro del futuro, sia per le ragazze sia per i ragazzi. Vuol dire, inoltre, investire nel promuovere un cambiamento culturale che ci porti al di là degli stereotipi di genere e a una condivisione dei lavori di cura, a oggi prevalentemente sulle spalle delle donne."

Anche in questo caso, sapere oggi quali saranno le competenze per il mondo del lavoro del futuro è pia illusione. Si può intuire che alcune competenze potrebbero essere meno adatte di altre, ma il futuro è imprevedibile. Anche perché un ciclo di formazione è necessariamente pluriennale.

Proseguendo poi con il lavoro, appunto.

"Dalla scuola al lavoro: è necessaria una riforma dei congedi per i genitori in modo che le assenze dal lavoro non pesino in particolar modo sulle mamme, tanto da allontanarle dal mondo del lavoro. Un tentativo, che definire timido è un eufemismo, di rivedere il congedo di paternità c'è stato nell'ultima legislatura, con il passaggio da 2 a 4 giorni alla nascita o all'adozione del bambino. Sarebbero necessari almeno 15 giorni per "forzare" un cambiamento culturale."

Confesso di non avere esperienza in materia, ma trovo difficile ipotizzare una perfetta fungibilità tra madri e padri nei primi mesi di vita di un figlio. Imporre 15 giorni di congedo parentale al padre (tre settimane lavorative), ovviamente a spese di pantalone, per "forzare" un cambiamento culturale", mi sembra una follia.

Ovviamente però servirebbe fare di più.

"Ma se in Italia le single o le sposate senza figlie hanno percentuali di occupazione più alte di un terzo rispetto alle donne con figli, non basta rivedere i congedi. È necessario, come d'altra parte indicato anche dall'Ocse, assicurare la disponibilità e l'accessibilità, e a costi contenuti, delle strutture per la prima infanzia e di assistenza per gli anziani. A questo si aggiunga un organizzazione del lavoro che assicuri maggiore flessibilità nei tempi e nei luoghi, nella direzione in cui si è mossa la legge sullo smart working."

Il femminismo di D'Ascenzo la porta a prendere in considerazione (refuso o lapsus?) solo le figlie, non già i "figli" (se ne facciano una ragione le femministe più o meno boldriniste, ma in italiano si deve utilizzare il termine "figli" per indicare il plurale che comprende sia i maschi, sia le femmine).

Sarebbe il caso, quando si ipotizza di aumentare una spesa di "welfare", quanto meno indicare quale sarebbe la copertura. Sarebbe più evidente anche al lettore distratto che si tratterebbe di far pagare questi servizi anche (soprattutto) ai non utilizzatori.

Quanto allo smart working, non andrebbe regolato per legge, ma solo mediante accordi aziendali (e, perché no, individuali).

Possono mancare in questa lista della spesa gli incentivi fiscali? Ovviamente no.

"E gli incentivi o gli sgravi fiscali? Interventi a pioggia o indiscriminati hanno dimostrato di non essere efficaci. Occorre riuscire a individuare target mirati per poter essere incisivi: donne con figli oltre i 40 anni e fuori dal mondo del lavoro, startupper, libere professioniste, imprenditrici e così via. Tutto però in un intervento coordinato."

Ci mancherebbe, tutto deve essere coordinato, con i burocrati ministeriali in grado di sapere alla perfezione quali interventi mirati porre in essere. Il fatto che non esistano persone onniscienti non sfiora la mente della nostra.
Ed ecco la conclusione: a ridatece il ministero delle Pari opportunità.

"Per mettere in fila tutto questo, però, non basta un dipartimento delle Pari opportunità. È necessario un ministro, che possa lavorare attraverso il proprio ufficio di gabinetto e il proprio ufficio legislativo in coordinamento con gli altri ministri a partire da quello dell'Economia. Le Pari opportunità non possono essere la Cenerentola dei governi e se vogliamo farle partecipare ai tavoli delle decisioni politiche, un ministero è l'unica scelta possibile."

Ovviamente solo donne in quel ministero, dal vertice alla portineria.
 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".


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