Scorie - Il partito degli investimenti pubblici (1/2)




E' numeroso, in Italia, il partito trasversale degli investimenti pubblici. I suoi simpatizzanti e militanti non si stancano di ripeterci che gli investimenti pubblici dovrebbero aumentare, che le spese per investimenti pubblici non dovrebbero essere conteggiate nel deficit (c.d. "golden rule"), e che, se solo non fosse per i vincoli europei, le cose potrebbero andare (molto) meglio.

Personalmente non credo che gli investimenti pubblici siano una panacea, per almeno due motivi: in primo luogo, perché sono decisi da persone che non utilizzano soldi propri, bensì prelevati coercitivamente da altri mediante tassazione (presente o futura); in secondo luogo, perché non vi è motivo di credere che chi decide tali investimenti sia onnisciente.

Ciò premesso, in Italia la spesa pubblica è pur sempre quasi la metà del Pil, anche al netto degli interessi sul debito. Quindi mi generano perplessità affermazioni come quelle, per esempio di Franco Gallo, secondo il quale "pare incontestabile che non si può continuare a ragionare solo in termini di incentivi, anche fiscali, dimenticando che spetta comunque allo Stato accompagnare – anzi, anticipare – tali interventi con accorte strategie di crescita a lungo termine, che attualmente, almeno nel nostro Paese, mancano. A livello europeo, le condizioni imposte attraverso il fiscal compact non possono, dunque, consistere solo in una compressione indiscriminata del settore pubblico, ma dovrebbero accompagnarsi a maggiori stimoli a spendere nell'istruzione e nella ricerca scientifica e a rendere il settore pubblico più strategico e meritocratico."

In altri termini, lo Stato dovrebbe investire e non lasciare che lo facciano i privati, magari utilizzando incentivi fiscali. E le regole europee dovrebbero, a loro volta, stimolare la spesa pubblica in istruzione e ricerca.

Non sto a soffermarmi sulla totale inappropriatezza del (già di per se stesso inappropriato) termine "meritocrazia" riferito al settore pubblico. Piuttosto vorrei osservare che quando si propone di aumentare determinate voci di spesa sarebbe opportuno indicare dove tagliare, date le condizioni dell'Italia.

Invece questi sostenitori degli "investimenti pubblici" si lamentano quasi come se l'Italia spendesse poco e fosse costretta a trattenersi per via del "fiscal compact".

Ma quale "compressione indiscriminata del settore pubblico" ha fin qui prodotto il fiscal compact? Anche nell'istruzione, l'informata di assunzioni decise da Renzi come devono essere classificate?

Il settore pubblico è già fin troppo strategico… per chi ci campa.



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