Scorie - Il keynesismo fa danni, sia esso ineducato, pragmatico o moderato

Come ho già avuto modo di sostenere, la inattesa elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha messo in difficoltà (per usare un eufemismo) molti sostenitori più o meno ferventi delle politiche economiche keynesiane. Trump, infatti, promette di tagliare le tasse e aumentare la spesa pubblica con provvedimenti per le infrastrutture tipicamente keynesiani.



Per quanto mi riguarda, ogni riduzione effettiva delle tasse è un segnale positivo, ma se calano le tasse deve calare anche la spesa, altrimenti si finisce per porre le basi per maggiori tasse in futuro, siano esse esplicite o implicite (mediante inflazione).

Carlo Bastasin sostiene che il keynesismo di Trump (lo si potrebbe definire "ineducato", come spesso sono bollati coloro che ne hanno determinato il successo elettorale) potrebbe avere ripercussioni negative sul keynesismo moderato che starebbe tornando in auge in Europa.

"L'elezione di Trump investe in pieno uno dei grandi cambiamenti intellettuali che ispirano il governo dell'economia, una di quelle variazioni di rotta che avvengono poche volte ogni secolo. Da pochi anni stava prendendo piede una nuova visione, finalmente pragmatica, della politica economica. Dopo una discesa durata trent'anni, il fatto che i tassi d'interesse d'equilibrio si siano avvicinati allo zero ha svuotato la convinzione che la politica monetaria fosse il solo e unico modo efficace per dare stabilità all'economia e si è riscoperta l'utilità di coordinarla con una politica attiva di bilancio."

Quando leggo il sostantivo "pragmatismo" o l'aggettivo "pragmatico" sono colto dal sospetto che poi leggerò qualcosa che non mi convince. Si tratta solo di un'euristica, ma generalmente funziona. Nel caso specifico, non sono i tassi di interesse di equilibrio a essersi avvicinati a zero, bensì i tassi distorti da politiche monetarie fortemente espansive.

La rivalutazione della "politica di bilancio attiva" non è altro che la reazione degli interventisti ai fallimenti della politica monetaria non mettendo in discussione l'interventismo, bensì rincarando la dose di interventismo.

E qui vorrei aprire una parentesi. Per come sono presentati i fatti da Bastasin (e non solo), sembra quasi che il keynesismo sia stato tirato fuori dai cassetti dopo esservi stato relegato per decenni. Se così fosse, difficilmente oggi l'Europa (e non solo) avrebbe tanto debito pubblico come mai nella storia in tempo di pace. E questo per quanto riguarda le politiche economiche. Quanto all'accademia, i keynesiani amano lamentarsi, ma non sono mai stati emarginati. Cosa dovrebbero dire, allora, gli economisti della scuola austriaca? Chiusa parentesi.

Prosegue Bastasin:

"Erano tre decenni che il sostegno della domanda attraverso la spesa pubblica veniva considerato a priori inefficace per una questione di ritardi tra le decisioni e gli effetti delle politiche; per il timore inoltre che ogni spesa pubblica corrispondesse a futuri aumenti di tasse per i cittadini e per le imprese; e infine perché un eccesso di debito pubblico avrebbe fatto aumentare i tassi d'interesse spiazzando gli investimenti privati. Questa visione corrispondeva a un'idea molto negativa della politica, dove la spesa pubblica era soprattutto spreco, furto o strumento elettorale. Un'idea che, gli italiani lo sanno bene, è spesso confermata dall'esperienza. Tanto che proprio in Italia si era valorizzata l'idea che i tagli alla spesa pubblica favorissero la crescita, anziché frenarla. Ma che non può cancellare a priori ogni riflessione sull'impiego migliore di tutti gli strumenti della politica economica."

Bontà sua, Bastasin riconosce che in Italia la spesa pubblica è stata abbondantemente "spreco, furto o strumento elettorale". Il che è un'aggravante, ma le controindicazioni alla crescita del deficit spending restano valide a prescindere dal fatto che a gestire la spesa non ci siano degli angeli. Il debito derivante dall'accumulazione dei deficit va comunque pagato prima o poi. E gli aumenti di tasse si sono effettivamente materializzati, al contrario della crescita economica.

Quanto al fatto che in Italia si fosse valorizzata l'idea che "i tagli alla spesa pubblica favorissero la crescita, anziché frenarla", Bastasin esagera fortemente. In primo luogo, perché si tratta di una tesi (ahimè) che hanno sostenuto in pochi in Italia; in secondo luogo (e di conseguenza), perché in Italia la spesa pubblica non è mai stata effettivamente ridotta. Ogni correzione del deficit è avvenuta aumentando le tasse.

Ancora Bastasin:

"L'esperienza della crisi europea aveva ovviamente già costretto a considerare gli effetti della politica di bilancio in modo più pragmatico, tenendo conto del buon senso e delle conferme empiriche di un certo volume di ipotesi sugli effetti positivi per la crescita di maggiori spese e di minori tasse. Ma ciò che ha davvero modificato il quadro interpretativo è stato l'azzeramento prolungato dei tassi d'interesse che escludeva effetti di spiazzamento della spesa privata come conseguenza dell'aumento della spesa pubblica e del ricorso a maggiore debito. Al contrario si è tornati a pensare che sostenendo la crescita, una maggiore spesa pubblica potesse catalizzare gli investimenti privati. La chiave di tutto resta una semplice equazione di sostenibilità del debito pubblico: se il livello dei tassi d'interesse è inferiore al tasso di crescita dell'economia, il rapporto tra debito pubblico e Pil scende. Essendo i tassi vicini a zero – e forse non per un breve periodo – una crescita indotta tende a sostenere se stessa."

Posto che l'azzeramento dei tassi di interesse non è stato un fenomeno di mercato spontaneo, aumentare il deficit guardando solo agli effetti sul Pil di breve periodo e tralasciando di considerare l'aumento del debito è tutt'altro che di buon senso.
 
Indubbiamente se la crescita nominale del Pil eccede il costo del debito il rapporto tra debito e Pil scende. Ma se davvero i famosi "investimenti pubblici" fossero un business così redditizio, perché non sono i privati a fare quegli investimenti? Sono tutti stupidi? E perché tanti investimenti pubblici del passato hanno generato un aumento del debito superiore a quello del Pil? Cosa lascia supporre che questa volta gli investimenti sarebbero fatti con una sorta di onniscienza sul futuro?

Il buon senso, per come lo intendo io, dovrebbe sconsigliare dal cedere al canto delle sirene keynesiane, siano esse ineducate, siano esse pragmatiche.



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