Scorie - Disastri economici a 5 stelle



Non sono tra coloro che sperano in una vittoria del M5S alle prossime elezioni politiche e non condivido quasi nulla di quello che propongono. Al tempo stesso trovo stupido, oltre che controproducente, bollare il movimento e i suoi esponenti con l'aggettivo "populisti", usato in accezione dispregiativa, senza entrare nel merito di ciò che sostengono.
 
Molte delle loro proposte, oltre a essere per me non condivisibili, hanno il problema di non essere economicamente sostenibili. Ma liquidandoli come "populisti" con l'atteggiamento altezzoso di molti commentatori mainstream, non solo non si mette in evidenza che i conti non tornerebbero, bensì si genera involontariamente una crescita al consenso nei loro confronti.
 
In una intervista a Die Welt, Alessandro Di Battista, uno dei più popolari parlamentari del M5S, ribadisce alcune delle cose che fanno parte del programma del M5S.
 
Per esempio, in merito ai provvedimenti per favorire la crescita economica, sostiene:
 
"Noi diamo la precedenza alle piccole e medie imprese. Intervenendo in questo ambito la ripresa è assicurata. L'imposizione fiscale deve diminuire. Servono istituti finanziari pubblici che consentano investimenti a favore di queste imprese e il reddito di cittadinanza".
 
Nessuno, almeno a parole, ritiene che l'imposizione fiscale non debba diminuire. Il problema è che per ridurre le tasse occorre ridurre anche la spesa pubblica, altrimenti i conti non tornano. Da questo punto di vista, credo innanzi tutto che lo Stato non debba dare la precedenza a nessuno, ma lasciare libertà a tutti. Credo anche che siano da evitare i non meglio definiti "istituti finanziari pubblici": sono già esistiti in passato, e a rimpiangerli sono solo quelli che ci lavoravano o che ottenevano benefici diretti. Ma se nessun banchiere privato è onnisciente, non può esserlo nemmeno quello pubblico che, per di più, usa per definizione soldi di chi paga le tasse.
 
A maggior ragione non ha senso il reddito di cittadinanza, che se fosse anche solo di 500 euro al mese per 20 milioni di beneficiari costerebbe 120 miliardi all'anno.
 
Come sostiene Roberto Perotti nel libro "Status Quo", "i soldi non piovono dal cielo. Tutte le volte che qualcuno propone un piano grandioso per ridurre le tasse o aumentare la spesa… chiedetevi e chiedetegli: come intendi pagare? Dove intendi trovare le risorse?"
 
In effetti questa domanda viene posta a Di Battista, il quale risponde così:
 
"Con una seria lotta alla corruzione, che secondo le stime della Corte dei conti costa allo Stato 60 miliardi di euro l'anno. Variando i termini di prescrizione, che interrompono migliaia di processi. Ai politici corrotti va impedito di ricandidarsi. Tutto questo porta denaro nelle casse dello Stato: la corruzione triplica i costi delle opere pubbliche".
 
Oltre, ovviamente, alla lotta all'evasione fiscale. A proposito della quale Di Battista precisa: "per evasione fiscale noi intendiamo i grandi evasori".
 
Qui i problemi sono almeno due. In primo luogo, la corruzione dipende indubbiamente dalle azioni delle persone, ma non si può avere la certezza di mettere degli angeli al posto dei corrotti. E tante più sono le occasioni che rendono possibile la corruzione, quante più sono le probabilità che ci sia corruzione. Ne consegue che aumentare la presenza dello Stato (nelle sue diverse articolazioni) nell'economia non è compatibile con la riduzione della corruzione. Neppure se si instaura una specie di stato di polizia. Anzi, più un sistema è statalista, più tende a essere corrotto. E questo lo dice anche l'esperienza empirica.
 
In secondo luogo, la lotta all'evasione fiscale (e in questa sede non sto a entrare nel merito di ciò che penso al riguardo) non porta, né può portare, ai recuperi di imposta quantificati in decine o centinaia di miliardi come amano ripetere i suoi cantori. Dei circa 15 miliardi di accertamenti annui, ciò che effettivamente è dovuto e poi effettivamente incassato dall'erario è una frazione.
 
Quindi i conti continuerebbero a non tornare.
 
Di Battista aggiunge altre coperture: "vogliamo anche aumentare di parecchio le tasse sul gioco d'azzardo, centralizzare la spesa statale, realizzare opere pubbliche funzionali, di dimensioni ridotte rispetto all'Expo o all'Alta Velocità. Vogliamo ridurre i costi della politica, gli stipendi di tutti i parlamentari, anche degli amministratori regionali".
 
Pare che il gioco d'azzardo sia considerata una mucca dalle mammelle sempre piene di latte. Oggi lo Stato incassa circa 8 miliardi l'anno in tasse. Se si pensa di aumentare "di parecchio" occorre mettere in conto che la salita del gettito potrebbe essere meno che proporzionale.
 
Per di più, aumentare le tasse e parlare di riduzione della pressione fiscale è un ossimoro, a maggior ragione se si pensa di usare i maggiori introiti per fare "opere pubbliche".
 
Quanto al cavallo di battaglia della riduzione dei costi della politica, peraltro sacrosanta, Perotti stima che si potrebbe risparmiare circa 1 miliardo, massimo 2 nell'ipotesi più hard (tenuto conto degli inevitabili contenziosi). E questi riguarderebbero non solo i parlamentari, ma anche i politici locali, i dirigenti pubblici e i diplomatici.

Altro cavallo di battaglia, per la verità non solo del M5S:
 
"Noi puntiamo sulla Green Economy: una svolta energetica a livello nazionale in direzione delle energie rinnovabili e della sostenibilità".
 
Anche qui c'è un problema: puntare sulla green economy è stato finora (e con ogni probabilità continuerà a essere ancora per anni) sinonimo di incentivi governativi che hanno sussidiato certi settori a spese dei contribuenti.
 
Last, but not least, il capitolo banche:
 
"Vogliamo una banca centrale che eserciti una vigilanza reale e non sia controllata dalle banche, come accade in Italia".

La statalizzazione della Banca d'Italia farebbe poi il paio con l'uscita dall'euro (a tale proposito il M5S vorrebbe un referendum, che neppure sarebbe legale, come peraltro questi "difensori" della legalità e della Costituzione dovrebbero sapere) per riavere "sovranità" monetaria, ossia stampare denaro a volontà.
 
L'idea del M5s in merito alla proprietà della Banca d'Italia denota una totale ignoranza in materia (peraltro abbastanza diffusa). Il fatto che la Banca d'Italia sia formalmente di proprietà di soggetti privati (in gran parte banche), non significa che prenda ordini dai proprietari, come avverrebbe in una normale società di capitali.
 
D'altro canto, se veramente i proprietari privati avessero potere decisionale, come si spiegherebbe il fatto che gli esponenti del Direttorio non sono nominati dai soci e che la gran parte degli utili non viene destinata a dividendi, bensì retrocessa al Tesoro?
 
Nel 2015, per esempio, la Banca d'Italia ha versato allo Stato 1.012 milioni di imposte (e fin qui rimaniamo nell'ambito della tassazione) e, su un utile netto di 2.797 milioni, 2.157 milioni (pari al 77%) sono stati retrocessi allo Stato, 300 milioni sono stati accantonati a riserva ordinaria e solo i restanti 340 milioni sono stati destinati a dividendi. In sostanza, allo Stato è andato oltre l'83% dell'utile lordo. Quale proprietario, se avesse potere decisionale, farebbe nominare i vertici ad altri (di fatto, a chi governa) e ripartirebbe l'utile in quel modo?
 
Questi sono solo alcuni dei punti programmatici del M5S. A mio parere sono sufficienti per non aspettarsi nessun miglioramento (anzi) se andranno al governo. Ma liquidarli come "populisti" senza entrare nel merito di alcuna delle proposte credo sia il migliore favore elettorale che si possa fare loro.


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