Scorie - Ripercussioni tra finzione e realtà

"Sull'ipotesi di un taglio nominale sono d'accordo con la Germania: se prendessimo una decisione del genere, si ripercuoterebbe su tutti i contribuenti europei."
(P. C. Padoan)

Pier Carlo Padoan si riferisce al debito pubblico della Grecia, ormai in gran parte verso creditori pubblici, ossia i contribuenti di altri Paesi, per lo più europei.

E' dal 2010 che la Grecia è entrata in una situazione di conclamata insolvenza. Da allora ha ricevuto finanziamenti dai Paesi Ue e FMI per 240 miliardi (110 concessi nel 2010 e 130 nel 2011), ha ristrutturato il debito verso i creditori privati per 107 miliardi (nel 2012, con una falsa ristrutturazione volontaria per evitare, ipocritamente, di chiamarlo default) e nel 2015 ha ottenuto un altro programma di finanziamenti per 86 miliardi.

A fronte di ciò UE, BCE e FMI hanno imposto alla Grecia manovre fiscali restrittive che, in un Paese fortemente intriso di statalismo, con una marea di dipendenti pubblici e pensionati più giovani della media europea, ha lasciato una cospicua fetta di popolazione in stato di indigenza. Non credo, peraltro, che fosse possibile una soluzione indolore, dato che non vi era alcun motivo per lasciare a carico degli altri cittadini europei l'onere di consentire che la Grecia vivesse al di sopra dei suoi mezzi come ha fatto per almeno tre decenni, ossia da quando entrò nella Comunità europea a inizio anni Ottanta.

La situazione ormai si trascina in questo modo: la Grecia è in stato comatoso e ottiene nuovi crediti che servono unicamente a pagare i debiti che arrivano a scadenza, a fronte di manovre fiscali mai risolutive, non da ultimo perché infarcite di aumenti di imposte che, se riscosse, ammazzaerebbero quel po' che rimane dell'economia; se non riscosse, lascerebbero alto il deficit. Tra i creditori pubblici, il FMI ritiene che quel debito sia insostenibile e vada in buona parte abbattuto, mentre i Paesi europei, Germania in primis, si oppongono a ogni ipotesi di riduzione del valore nominale. Nel corso degli anni sono state peraltro accordate riduzioni di tassi di interessi e lunghe moratorie sul pagamento degli stessi, ma ciò non è stato sufficiente a rendere il debito sostenibile.

In buona sostanza, chi si oppone alla riduzione del valore nominale sceglie di voler negare la realtà, ossia che la Grecia non riuscirà mai a pagare quel debito. Allungare le scadenze e concedere ulteriori moratorie senza intaccare il valore nominale significa unicamente voler far credere a coloro che debbono sostenere la perdita, ossia i contribuenti europei, che quel debito verrà restituito. Ma è evidente che se fra 50 anni verrà ripagato (e io ne dubito) il valore reale sarà in ogni caso fortemente eroso.

Perché, dunque negare la realtà? Semplicemente perché, a livello contabile, i creditori europei possono continuare a far finta che il loro credito nei confronti della Grecia sia in bonis, mentre in caso di abbattimento del valore nominale dovrebbero riconoscere una perdita, che avrebbe effetti sul loro deficit (e sul debito).

A ben vedere, si tratta di una mera finzione contabile, che non rappresenta in modo minimamente veritiero la realtà dei fatti. Il problema è che, così facendo, si continuerà, al massimo ogni due anni, a concedere alla Grecia nuovo credito per decine di miliardi, gonfiandone il debito e rendendolo sempre meno sostenibile. Rimandando, di fatto, la resa dei conti.

Molto meglio sarebbe, invece, prendere atto della realtà, cancellare buona parte di quel debito e chiudere il rubinetto nei confronti della Grecia che, a quel punto, potrebbe ripartire con poco debito, non dovrebbe sottostare ai diktat dei creditori internazionali, ma, al tempo stesso, non otterrebbe più un centesimo a spese dei contribuenti degli altri Paesi.

Per i quali, checché ne dica Padoan, le ripercussioni delle scelte scellerate dei loro governi negli ultimi anni sono già costate e continueranno a costare parecchio.


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