Scorie - Il ciarlatano Charlie

"Uno potrebbe raggiungere la conclusione che tassi di interesse
storicamente bassi e stabili pongano rischi alla stabilità finanziaria… Io
credo che l'inferenza che tassi di interesse persistentemente bassi mettano
a rischio la stabilità finanziaria sia basata su una visione ristretta
dell'economia… Si pensi a come diventerebbe problematico il calcolo
costi-benefici se il solo modo per ottenere la stabilità finanziaria
consistesse nell'aumentare i tassi di interesse al di sopra del livello
determinato dalle forze della domanda e dell'offerta dell'economia reale."
(C. L. Evans)

Charles Evans, presidente FED di Chicago, è tra coloro che ritengono si
debbano utilizzare provvedimenti macro-prudenziali per contenere i rischi
di instabilità finanziaria. Una posizione simile a quella del presidente
della Fed attuale, Janet Yellen, e anche del predecessore Ben Bernanke.

Secondo questo punto di vista, la politica monetaria non sarebbe adatta a
essere utilizzata per scongiurare la formazione di bolle. Per supportare la
loro tesi, Evans e chi la pensa come lui sono però costretti ad arrampicate
che nessun alpinista sano di mente si sognerebbe di tentare, per quanto
capace.

In sostanza, la politica monetaria dovrebbe preoccuparsi di favorire
l'aumento dell'occupazione, stando attenta a non far aumentare oltre un
certo limite (del 2% annuo, numero del tutto arbitrario) la crescita degli
indici dei prezzi al consumo. Si tratta del tipico schema keynesiano che in
misura più o meno marcata contraddistingue l'operato di tutte le banche
centrali.

Non è del tutto chiaro per quale motivo Evans sia disposto a riconoscere
che la politica monetaria può influenzare i prezzi dei beni di consumo, e
quindi debba essere calibrata per cercare di evitare che l'andamento di
tali prezzi si discosti eccessivamente dagli obiettivi prefissati, mentre
ritenga che debba più o meno esplicitamente evitare di pensare alle
ripercussioni che le mosse della banca centrale possono provocare nei
prezzi dei beni finanziari o reali.

Per tentare di giustificare il suo punto di vista, Evans afferma che
adottare una politica monetaria restrittiva al solo scopo di evitare la
formazione di bolle nei prezzi degli asset finanziari o reali finirebbe con
il provocare una contrazione della domanda, quindi dell'occupazione, dando
il via a una spirale recessiva e deflattiva.

Per questo la politica monetaria dovrebbe essere espansiva se il tasso di
disoccupazione è superiore a quello (keynesianamente) ritenuto compatibile
con gli obiettivi di crescita dei prezzi al consumo che (keynesianamente)
la banca centrale ha fissato. Gli eventuali effetti collaterali sugli altri
prezzi dovrebbero essere scongiurati mediante regolamentazione e vigilanza,
ossia introducendo una distorsione per contenere gli effetti indesiderati
di una distorsione precedente.

Ora, il problema a me sembra duplice. In primo luogo, pare che questi
interventi macro-prudenziali abbiano fatto spesso cilecca nella storia,
dato che di bolle a seguito di periodi di espansione monetaria se ne sono
formate in modo ricorrente. In secondo luogo, se per ogni distorsione
occorre aggiungere altre distorsioni per correggere gli effetti
indesiderati di quelle precedenti, si finisce, come sosteneva Mises, per
scivolare di intervento in intervento verso il socialismo (e mi pare che
(soprattutto) in campo monetario ci siamo già finiti da un pezzo).

Se poi, come fa Evans, si arriva ad affermare che modificare in senso
restrittivo la politica monetaria attuale sarebbe equivalente ad "aumentare
i tassi di interesse al di sopra del livello determinato dalle forze della
domanda e dell'offerta dell'economia reale", si finisce per cadere
nell'assurdo.

Come fa Evans a sapere a quale livello sarebbero i tassi di interesse
determinati "dalle forze della domanda e dell'offerta dell'economia reale",
dal momento che la politica monetaria agisce continuamente per contrastare
proprio la libera formazione dei prezzi, a partire dai tassi di interesse?

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