Scorie - Il pastore tassatore - parte terza

Proseguo nel commento dell'articolo di monsignor Forte:

"Un secondo principio da richiamare è che il contributo dei cittadini al
bene comune deve essere equamente distribuito: l'equità va misurata secondo
parametri oggettivi e soggettivi. Ai primi appartengono le urgenze
congiunturali: dove il bene comune è minato da una crisi socio-economica
generale – come sta avvenendo nel "villaggio globale" e nel nostro Paese in
particolare – è giusto che sacrifici siano fatti e ricadano su tutti. Sul
piano soggettivo, tuttavia, essi vanno commisurati alle effettive risorse e
possibilità di ciascuno: chiedere a tutti lo stesso prezzo secondo un
criterio di ripartizione paritaria è in realtà somma ingiustizia. Chiedere
di più a chi ha di più è invece la misura equa che è necessario mettere in
atto: è perciò doveroso domandare di più specialmente a chi dispone di
grandi risorse e gode di un'ampia gamma di beni superflui o non
strettamente necessari. Il principio di equità è un criterio ispiratore
fondamentale, da mettere in atto con forte senso di giustizia, mediante una
conveniente ripartizione dei sacrifici. Emerge qui la valenza "politica"
della responsabilità etica del commercialista, che deve far sentire la
propria voce – sia di singolo, che nella forma dell'associazione di
categoria – per contribuire a migliorare l'equità delle leggi in materia
tributaria. A questo genere di contributo il legislatore dovrebbe mostrare
adeguata attenzione."

Monsignor Forte sembra voler trovare l'equilibrio tra l'evitare
l'assistenzialismo e quella che ha definito "enfatizzazione anarchica dei
diritti di alcuni" (vedi la parte precedente) individuando criteri di
equità per la ripartizione del carico fiscale. Criteri che sarebbero
oggettivi – tutti devono fare sacrifici per il bene comune – e soggettivi –
chi più ha, più deve dare.

L'unica cosa veramente soggettiva a me pare la concezione di equità di
Forte, per quanto richiamata da tutti i socialisti a vario modo sostenitori
della tassazione progressiva. Nulla dimostra, se non soggettivamente, che
chi più ha, più deve dare. Peggio ancora, è necessariamente soggettiva la
valutazione di cosa siano le "grandi risorse" e, a maggior ragione, di cosa
sia superfluo.

In pratica, si dovrebbe ritenere "equo" privare con la forza un soggetto di
una parte di beni di sua proprietà (tipicamente sotto forma di denaro)
perché ciò sarebbe necessario al "bene comune" e, soprattutto, perché quei
beni sarebbero "superflui". A me pare sommamente ingiusto, mentre per Forte
ciò produrrebbe una "conveniente ripartizione dei sacrifici". Che esista
convenienza per i consumatori di tasse lo si può capire, ma che la stessa
cosa si possa dire per i pagatori di tasse appare assai arduo.

Per di più Forte ritiene che i commercialisti dovrebbero ispirare il
legislatore nel migliorare la legislazione fiscale nel senso di equità da
lui specificato. Con buona pace dei clienti-contribuenti, che si suppone
dovrebbero continuare a pagare felici e contenti i commercialisti anche per
questi suggerimenti dati al legislatore.

Nella parte successiva, quella conclusiva, mi occuperò della ciliegina
sulla torta nel ragionamento di monsignor Forte.

    

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