Scorie - Fanfaronate (2/2)

"Dal 1° maggio faremo un'operazione sull'Irap che si finanzierà con
l'aumento della tassazione sulle rendite dal 20 al 26% (2.6 miliardi)
L'Irap si ridurrà del 10%."
(M. Renzi)

Questo ha dichiarato Matteo Renzi al termine del CDM del 12 marzo.
Elencando una serie di tagli di tasse e aumenti di spesa e crediti di
imposta, sostenendo tra l'altro che non sarebbero stati coperti da maggiori
altre imposte, ha però smentito se stesso ammettendo che un parziale taglio
dell'Irap sarà finanziato aumentando la tassazione sulle cosiddette rendite
finanziarie, ancora una volta escludendo i titoli di Stato.

Così la maggior aliquota gravante sui titoli non emessi dallo Stato (o da
esso garantiti) passerà dagli attuali 7.5 a 13.5 punti percentuali. Detto
in altri termini, la tassazione per i titoli emessi da soggetti privati
sarà più che doppia rispetto a quella che colpisce i titoli di Stato.

Già a partire dal 2012, l'aumento dal 12.5 al 20% dell'aliquota, sempre
solo per titoli di emittenti privati, aveva introdotto una distorsione a
favore dello Stato. Adesso questa distorsione non fa che peggiorare. In
pratica tutti i risparmiatori persone fisiche, ossia i soggetti fiscalmente
"nettisti", avranno una ulteriore spinta a preferire titoli di Stato
rispetto, ad esempio, a obbligazioni di emittenti privati, con un effetto
spiazzamento per via fiscale che costringerà questi ultimi a offrire
rendimenti lordi superiori per competere con il Tesoro. E lo spread di
rendimento dovuto alla distorsione fiscale tende ad aumentare con l'aumento
dei rendimenti di mercato. Per esempio, se il rendimento lordi di un titolo
di Stato è pari al 2.5%, per avere lo stesso rendimento netto un emittente
privato deve pagare il 2.96% lordo, mentre se il titolo di Stato rende il
4%, quello privato deve rendere il 4.73%. Qui prescindo, peraltro, da
considerazioni circa i diversi premi per il rischio di credito o di
liquidità dei diversi strumenti.

Se un emittente si finanzia solo presso investitori "lordisti" il problema
è trascurabile, ma resta il fatto che lo Stato spinge il risparmiatore,
usando la leva fiscale, a investire i propri denari in BOT, BTP e CCT.
Oppure, se si preferisce, disincentiva l'investimento in titoli non emessi
o garantiti dallo Stato. Proprio in un momento nel quale, almeno a parole,
si vorrebbe ridurre il peso del canale bancario come fonte di finanziamento
delle imprese.

A conti fatti, tra imposta sostitutiva sui redditi di capitale e
patrimoniale camuffata da imposta di bollo, un risparmiatore nettista
finirà per lasciare allo Stato quasi un terzo del rendimento lordo. E
questo senza considerare la sciagurata Tobin Tax che colpisce (per ora
solo) gli acquisti di azioni e derivati, e sorvolando sulla anacronistica
distinzione tra redditi di capitale (interessi, dividendi, premi) e redditi
diversi (plusvalenze o minusvalenze) che non avrebbe alcuna ragione
finanziaria di esistere e che viene mantenuta solo per aumentare il gettito
per lo Stato. Finendo, tra l'altro, per penalizzare tutti coloro che non
riescono a scontare le minusvalenze realizzate all'anno T con plusvalenze
realizzate oltre l'anno T+4.

Ricordo, infine, che l'intervento sulle aliquote effettuato nel 2011 con
decorrenza 2012 voleva uniformare la tassazione tra i proventi sui depositi
(allora tassati al 27%) e quelli su azioni, obbligazioni e altri strumenti
finanziari (allora tassati al 12.5%). Quando entrerà in vigore l'aumento
prospettato da Renzi, l'aliquota unica si avvicinerà alla vecchia aliquota
massima, confermando che quando lo Stato uniforma una tassazione, finisce
per farlo al rialzo.

Di distorsione in distorsione, di tassa in tassa, questo è lo Stato. Anche
con un under 40 sul ponte di comando.

    

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