Scorie - The (bad) conscience of a liberal (27)

"Il punto è che il dilemma che spiega, teoricamente, perché la Fed stia
cercando di dare con una mano quello che toglie con l'altra, non ha niente
a che fare con la forma della politica monetaria, e tutto a che fare con
l'evidenza incontestabile che il tasso di interesse naturale è negativo."
(P. Krugman)

Nel fornire una sua spiegazione sul perché la Federal Reserve abbia
recentemente annunciato che ridurrà gradualmente l'ammontare mensile di
acquisti di titoli di stato e garantiti da ipoteche, al tempo stesso
assicurando che il tasso sui Fed Funds resterà a zero ancora a lungo, Paul
Krugman si è spinto fino a sostenere che il tasso di interesse naturale è
negativo.

Premesso che finché gli acquisti saranno solo ridotti e non azzerati al
lato pratico la base monetaria continuerà ad aumentare di qualche decina di
miliardi di dollari al mese, il ragionamento di Krugman è distorto almeno
quanto lo è il mercato monetario attuale.

Il concetto di tasso di interesse naturale fu elaborato da Knut Wicksell in
un contesto (quello di fine 800) radicalmente diverso da quello attuale.
Gli economisti della scuola austriaca presero spunto dal lavoro di Wicksell
ed elaborarono la loro teoria del ciclo economico sviluppando e ampliando
la distinzione tra tasso di interesse naturale e tasso monetario.

Semplificando, mentre il primo non è altro che la sintesi delle preferenze
temporali dei soggetti che operano in un sistema economico, il secondo è
influenzato dalla quantità di moneta, la quale può essere aumentata
dall'espansione del credito. Quando Ludwig von Mises scrisse la Teoria
della moneta e dei mezzi di circolazione (la prima edizione risale al 1912)
i sistemi monetari erano ancora in gran parte ancorati all'oro, ma ciò
nondimeno l'espansione del credito mediante emissione di mezzi fiduciari
(in misura eccedente le riserve auree) influenzava il tasso di interesse
monetario, rendendolo più basso rispetto al tasso di interesse naturale.

Tale distorsione incentivava l'indebitamento e l'allungamento
dell'orizzonte temporale degli investimenti, senza però che il calo del
tasso di interesse risultasse da un aumento del risparmio reale, ossia da
una modifica delle preferenze temporali dei consumatori. Ciò rendeva ex
ante il valore attuale netto di quegli investimenti artificialmente
positivo, mentre la successiva interruzione dell'inflazione monetaria
avrebbe reso necessaria la loro liquidazione (Mises li definiva
"malinvestimenti").

Per inciso, l'interruzione dell'inflazione monetaria (ossia la cessazione
dell'espansione creditizia, magari condizionata da una politica monetaria
restrittiva da parte della banca centrale) avrebbe avuto luogo come
conseguenza dell'accelerazione dei prezzi dei beni reali e successivamente
di quelli al consumo determinati dalla precedente espansione dell'offerta
di moneta. L'alternativa, ossia la perpetuazione dell'espansione monetaria,
avrebbe portato prima o poi all'iperinflazione e all'implosione del sistema
monetario.

Se si fa un salto in avanti di un secolo, negli attuali sistemi monetari
fiat dominati dalla distorsione monetaria prodotta dalle banche centrali e
da sistemi bancari a riserva frazionaria, non si può che osservare quanto
lo scollamento tra tasso di interesse naturale e tasso monetario sia
evidente.

La ricerca di rendimenti a cui sono "costretti" gli investitori dalle
politiche monetarie di allentamento quantitativo (l'eufemismo coniato per
definire diversamente la creazione di denaro dal nulla), determina un
allungamento delle scadenze (duration), oltre alla compressione dei premi
per il rischio di credito e di liquidità. In buona sostanza, l'abbondanza
di denaro (inflazione monetaria) ha già creato e continua a creare
inflazione sui prezzi delle attività finanziarie. Per chi considera
inflazione solo l'aumento di indici dei prezzi al consumo, però, il mondo
sembra addirittura a rischio di deflazione, il che renderebbe non solo
innocue, ma perfino necessarie le politiche monetarie espansive. E chi fa
notare che si tratta di un copione simile a quello che ha condotto alla
crisi iniziata nel 2007 (tanto per restare alla storia recente) viene
considerato paranoico o deficiente da gente come Krugman.

Ora, io credo che dovrebbe essere evidente quanto Krugman sia fuori strada
nell'ipotizzare che la politica monetaria della Fed sia giustificata da un
tasso di interesse naturale negativo. Un concetto che non ha alcuna
giustificazione razionale, dato che significherebbe che in via generale a
un bene consumato in futuro viene attribuito un valore superiore a quello
di un bene consumato oggi, ossia che si è disposti a pagare una certa somma
di denaro pur di rinviare un consumo.

Ciò che è negativo, in termini reali e talvolta anche in termini nominali,
è il tasso di interesse monetario (o di mercato), e questo è dovuto non già
a un eccesso di risparmio reale, bensì a un'offerta di base monetaria del
tutto distorta dalle politiche monetarie espansive. La grande incertezza
provocata in una parte degli operatori circa le conseguenze delle politiche
monetarie poste in essere dalla Fed (che ritengono del tutto inadeguati gli
attuali premi per il rischio di duration, credito e liquidità di molte
attività finanziarie), unita talvolta a precisi vincoli statutari nel tipo
di impiego che possono effettuare, spinge tali operatori a parcheggiare la
liquidità in investimenti a breve termine pur nella consapevolezza di
ottenere un rendimento reale (e talvolta persino nominale) negativo.

Ma si tratta, appunto, del tasso monetario (o di mercato), non certo di
quello naturale. In altri termini, non vi è nulla di naturale nei tassi che
osserva Krugman e l'unica "evidenza incontestabile" mi sembra la confusione
(forse voluta) che fa tra tasso naturale e tasso monetario.

 

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